In "Bella ciao" Giampaolo Pansa racconta la
strategia delle Brigate Garibaldi per sterminare i fascisti. E non solo.
Pubblichiamo,
per gentile concessione dell'editore, un estratto da Bella Ciao. Controstoria
della Resistenza (Rizzoli, pagg. 430, euro 19,90; in libreria dal 12 febbraio)
di Giampaolo Pansa. Nel saggio Pansa ricostruisce con dovizia di particolari il
ruolo del PCI all'interno della guerra civile che ha insanguinato l'Italia
dall'8 settembre del '43 sino al 25 aprile del '45 (anche se in molti casi le
violenze si sono trascinate ben oltre).
Il
giornalista documenta come i comunisti si battessero per obiettivi ben diversi
da quelli di chi lottava per la democrazia. La guerra contro tedeschi e
fascisti era soltanto il primo tempo di una rivoluzione destinata a fondare una
dittatura filosovietica. Pansa racconta come i capi delle brigate Garibaldi
abbiano tentato di realizzare questo disegno autoritario. Ricostruisce il
cammino delle bande guidate da Luigi Longo e da Pietro Secchia sino dall'agosto
1943. Poi le prime azioni terroristiche dei Gap, l'omicidio di capi partigiani
ostili al Pci, il cinismo nel provocare le rappresaglie nemiche, ritenute il
passaggio obbligato per allargare l'incendio della guerra civile.
A distanza
di tanti decenni colpisce sempre la strategia messa in atto dai militanti del
Pci. In molti luoghi dell'Italia del Nord e del Centro, senza strutture
apposite, comandi riconosciuti, progetti elaborati, basi predisposte.
All'inizio tutto avvenne per iniziativa di singoli militanti, a volte
sconosciuti anche ai dirigenti comunisti periferici. Fu così che si mise in
moto un'offensiva fondata su uno schema semplice e terribile. Lo schema può
essere riassunto nel modo seguente. Un attentato, una rappresaglia nemica. Un
nuovo attentato, una nuova rappresaglia più dura. Un terzo attentato, una terza
rappresaglia ancora più aspra. E così via, con una catena senza fine che aveva
un solo risultato: allargare l'incendio della guerra civile e spingere alla
lotta pure chi ne voleva restare lontano. Scriverà Giorgio Bocca: «Il
terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell'occupante, ma per
provocarlo, per inasprirlo. Cerca la punizione per coinvolgere gli incerti, per
scavare il fosso dell'odio».
Ecco qual
era la strategia dei Gruppi di azione patriottica, i Gap. Fondati verso la fine
del 1943 per iniziativa del Comando generale della Brigate Garibaldi, ossia di
Longo e di Secchia. Uno degli spagnoli, Francesco Scotti, poi raccontò:
«Qualche compagno sosteneva che non era giusto scatenare il terrore
individuale, perché questo era contrario ai principi marxisti leninisti. Anche
in Francia avevo ascoltato critiche di questo genere».
Aderire alla
strategia dei Gap, anche soltanto sul terreno del consenso politico, era
difficile per molti iscritti al Pci clandestino. Gente semplice e coraggiosa
che rischiava l'arresto perché aveva in tasca una tessera o partecipava a una
raccolta di denaro per i primi nuclei ribelli. Ma trovare dei compagni disposti
a sparare alla schiena di un avversario, e a sangue freddo, risultava
un'impresa davvero ardua.
[...]
Il vertice
delle Garibaldi non perdeva tempo a strologare su queste esitazioni. Voleva
vedere subito dei morti nelle strade. Secchia incitava ad agire «contro le cose
e le persone» dei fascisti. Le azioni non venivano quasi mai rivendicate. E questo
accentuava la paura seminata dalle molte uccisioni.
Pochi si
rendevano conto che i Gap erano piccoli nuclei armati, composti soltanto da
militanti comunisti, clandestini nella clandestinità, capaci di vivere
nell'isolamento più totale. Una solitudine in grado di mettere a dura prova la
resistenza nervosa anche del più freddo terrorista.
In realtà i
gappisti veri e propri, quelli professionali e in servizio permanente, erano
una frazione davvero minuscola rispetto ai tanti comunisti che iniziarono a sparare
quasi subito contro i fascisti.
Gli omicidi
di dirigenti del nuovo Partito fascista repubblicano, di solito segretari
federali, vennero preparati e compiuti da terroristi dei Gap. Ma gli altri
delitti, ben più numerosi, furono il risultato di iniziative decise da singoli
militanti, decine e decine di volontari, senza nessun rapporto con il vertice
delle Garibaldi. Erano pronti a sparare e a uccidere, sulla base di una tacita
parola d'ordine diffusa da nessuno.
Ecco qualche
esempio di queste azioni, di solito destinate a non entrare nella storia della
guerra civile. Il 5 novembre 1943, a Imola, venne ucciso il seniore della
Milizia Fernando Barani. Il 6 novembre, a Medicina, sempre in provincia di
Bologna, furono accoppati quattro fascisti. Il 7 novembre, a San Godenzo
(Firenze) altri quattro fascisti caddero sotto le rivoltellate di
sconosciuti.In seguito Giorgio Pisanò scrisse che questo attentato era stato
compiuto da un gruppo guidato dal meccanico Alessandro Sinigaglia, poi capo dei
Gap fiorentini. Anche lui uno spagnolo reduce da Ventotene, perse la vita nel
febbraio 1944 in una sparatoria.
Nel
Reggiano, dopo la fine del Tirelli, si cercò di accoppare il commissario della
nuova federazione fascista, l'avvocato Giuseppe Scolari. Era l'imbrunire del 13
novembre e l'attentato fallì. Andò a segno il terzo colpo, messo in atto il 17
dicembre. L'obiettivo era Giovanni Fagiani, cinquantenne, seniore della Milizia
e già comandante della 79ª Legione. Abitava nel comune di Cavriago e stava
ritornando a casa in bicicletta. Era in compagnia della figlia Vera, 19 anni,
che pedalava accanto a lui. In località Prati Vecchi, il seniore venne
affrontato da due ciclisti, in apparenza contadini avvolti nel tabarro per
difendersi dall'umidità invernale. Gli spararono e lo uccisero. Mentre Vera si
gettava sul padre, tirarono anche su di lei e la colpirono al volto. La ragazza
sopravvisse, ma rimase cieca.
A Genova il gruppo di Buranello, ormai divenuto il
Gap della capitale ligure, il 27 novembre 1943 cercò di intervenire in appoggio
agli operai meccanici e ai tranvieri scesi in sciopero. L'agitazione era stata
indetta dal Pci per adeguare il salario al carovita e ottenere l'aumento della
quantità di alcuni generi alimentari tesserati. Ma l'aiuto si limitò a un paio
di attentati contro i tralicci dell'alta tensione. Più pesante fu l'intervento
in occasione del nuovo sciopero deciso tra il 16 e il 20 dicembre. Due fascisti
vennero uccisi, forse dai Gap o da altri. Per reazione, le autorità
repubblicane fucilarono due operai già in carcere perché trovati in possesso di
armi mentre tentavano di sabotare dei tram. La rappresaglia, resa pubblica il
20 dicembre, fece terminare subito l'agitazione.
Tratto da Il Giornale 07/02/2014
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