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30 aprile 1945. Eccidio di Pedescala (VI). “Spararono poi sparirono sui monti"

“Spararono poi sparirono sui monti, dopo averci aizzato contro la rabbia dei tedeschi, ci lasciarono inermi a subire le conseguenze della loro sconsiderata azione. 
Per tre giorni non si mossero, guardando le case e le persone bruciare. Con quale coraggio oggi proclamano di aver difeso i nostri cari” 
(Il Giornale, 29 aprile 1983)


Negli ultimi giorni di aprile 1945 era ormai chiaro che la guetra era finita. Reparti tedeschi abbandonavano le loro posizioni verso il fronte e cercavano di rientrare in patria, per finire a casa la guerra. La valle del torrente Astico, la Val d'Astico, costituiva una strettoia su cui si dovevano incanalare molti reparti provenienti dalla pianura e diretti al Brennero. A partire dal 25 aprile le notizie sulle sollevazioni, sulla caduta di Milano, sulla morte del Duce, accelerarono questo movimento, che verso il 26 aprile era ormai un fiume in movimento, sempre più rapido. Reparti disparati si susseguivano lungo la Val d'Astico, mirando a uscire dalla guerra in fretta.
Per rendere più facile il passaggio fu firmato a Vicenza un accordo tra l'esercito tedesco e il CLN per facilitare questo passaggio, possibilmente senza vittime.

Una colonna tedesca proveniente da Arsiero imboccò la valle il giorno 30 aprile. La colonna si fermò, pare, alcune ore nel piccolo paese, 400 abitanti, di Pedescala, senza scontri, abbandonò nella piazza del paese alcune armi, un cannone, alcune armi automatiche, bombe a mano e proseguì.
La colonna fu successivamente attaccata, con alcune perdite.
La colonna ritornò nel paese di Pedescala, ed attuò una strage, secondo alcune fonti 53 uomini e 9 donne, secondo altre fonti 82 persone. I tedeschi credettero che quelle persone, in realtà estranee all'attacco, ne fossero gli autori, e fecero una strage, infierendo anche sui corpi degli uccisi.
In realtà erano persone innocenti, l'attacco era stato effettuato da altre persone, poi fuggite.
La colonna tedesca bloccata nel fondo valle, tentò per tre giorni di aprirsi un varco. Commise altre vendette a Forni e Settecà.
Non si può dire se l'attacco fu una iniziativa dei comandi locali dei partigiani che videro la possibilità di un successo militare, o se essi non furono informati dell'accordo che permetteva il passaggio.
In loro difesa i partigiani dissero che i tedeschi attaccarono perché dei bambini per gioco finsero di sparare...

Ci sono voluti 12 anni e tutta la tigna di cui sono stati capaci i familiari dei 63 morti ammazzati dai tedeschi a Pedescala (e dei 19 trucidati nelle vicine frazioni di Forni e Settecà) ma alla fine la «guerra» per la medaglia conferita nell’83 al comune di Valdastico si è risolta con una luminosa vittoria dei 250 componenti il Comitato vittime civili, che sulla medaglia d’argento al valor militare assegnata al comune vicentino «per attività partigiana» hanno sempre sputato indignati, definendola «falsa e bugiarda».
Dodici anni di baruffe, di muro contro muro, di velenose polemiche, prima che a Pedescala si svolgesse una cerimonia come quella di ieri mattina: con la bandiera del Comune «smedagliata» e senza la presenza dei partigiani, che negli anni passati, barando al gioco, si erano impadroniti di quei mori facendoli diventare «cosa loro». Cosa loro furono, in effetti; ma nel senso che quegli 82 inutili morti pesano dal primo all’ultimo sulle coscienze dei «fazzoletti rossi». Stavolta, perciò, i partigiani sono rimasti dove i pedescalesi volevano: fora dale bale.

A raccontarla in due parole, la storia è questa. Il 30 aprile 1945, a guerra finita da cinque giorni, una colona di tedeschi in una ritirata da Schio verso Trento cadde in un’imboscata tesale, nei pressi di Pedescala, da una formazione di partigiani. I tedeschi ebbero sette morti. La rappresaglia, crudele e spietata, scattò immediata. Entrati nel paesello, i tedeschi ammazzarono 63 persone mutilandone orrendamente i cadaveri e dandoli poi alle fiamme. Altri 19 civili cadevano intanto sotto il piombo dei tedeschi nei vicini villaggi di Forni e Setterà. La carneficina durò tre giorni interi senza che i partigiani (e se ne contavano a migliaia all’intorno) muovessero un dito per difendere la popolazione inerme. Spararono, insomma, e sparirono.
Le pratiche per ottenere una medaglia d’oro in ricordo di quelle povere vittime vennero avviate dal comune di Valdastico nel 1958, ma si dovette aspettare il 1980 perché la richiesta venisse esaudita. La medaglia era d’argento, ma i pedescalsi erano contenti lo stesso. Senonchè, invece di celebrare il sacrificio dei loro padri, delle madri, dei figli, dei fratelli, delle sorelle morti senza sapere perché, la ricompensa veniva assegnata «al valor militare per attività partigiana». Nella lunga e dotta motivazione si spiegava come Valdastico avesse valorosamente «contribuito alla lotta partigiana, opponendosi con fierezza ai rastrellamenti e alle distruzioni operati dall’invasore». Un falso storico bello e buono, insomma. Per i parenti delle vittime che si appellarono inutilmente a Pertini , buon’anima, quella motivazione suonò come un affronto. «Veder premiati coloro che provocarono l’uccisione di 63 persone inermi ci sembrò allora, e continua a sembrarci oggi, un insopportabile insulto», dice Camillo Pretto, 58 anni, che del Comitato vittime civili è l’infaticabile animatore.

Pedescala, un paesello di 250 persone, sorge ai piedi dei monti che orlano a ovest l’Altopiano di Asiago, all’inizio della Valdastico. Nell’aprile del ’45 vi abitavano 400 persone. Camillo Pretto, ultimo di undici fratelli, aveva 8 anni ma l’orrore di quei giorni gli è rimasto scolpito per sempre nella memoria. «Mio padre cadde sotto i miei occhi, colpito da una pallottola. Mio fratello Franco, di 17 anni, fu obbligato a pendere il corpo di mio padre e ad accatastarlo assieme ai cadaveri di altri compaesani in piazza. Poi ammazzarono anche lui».
«I partigiani erano il terrore della vallata – denuncia con rabbia Maddalena Mattielli, 82 anni, che nell’eccidio perse il padre, il marito, un cognato - . Rubavano, saccheggiavano, sparavano. Altro che valor militare. Una manega de farabutti, erano». A Giovanna Dal Pozzo, che ora ha 83 anni, i tedeschi uccisero il padre, il marito e il figlio Claudio, un bambinetto di 4 anni. «Li ammazzarono e li bruciarono – ricorda ora, con gli occhi velati di pianto -. Se i partigiani non avessero attaccato i tedeschi, non sarebbe successo. Questo è quello che io ho da dire. Ma non odio nessuno. Che Dio li premi secondo i loro meriti».
La medaglia «falsa e bugiarda» è rimasta in comune, mentre dall’Australia e dal Canada, per festeggiare l’evento, sono arrivati anche i fratelli di Camillo Pretto, Battista, Fausto ed Ernestina. E per la prima volta, davanti alla chiesa di Sant’Antonio, i pedescalesi hanno avuto la cerimonia che volevano: la messa cantata, il picchetto d’onore degli alpini, i discorsi e la «banda di Mosson», giacche rosse e pantaloni neri, che ha dato il meglio di sé. Repertorio classico, naturalmente: dal «Piave mormorò» al «Silenzio fuori ordinanza».


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