Avvenne oggi, 70 anni fa, e causò la morte di 33
soldati tedeschi e la strage delle Fosse Ardeatine.
Il 23 marzo
del 1944 una bomba sistemata da un gruppo di partigiani uccise 33 soldati
tedeschi e 6 civili italiani. L’attentato, portato avanti da alcuni membri dei
GAP – i Gruppi di Azione Patriottica che attaccavano i soldati tedeschi nelle
città occupate o compivano sabotaggi – causò una violenta rappresaglia. I
tedeschi rastrellarono 335 persone in tutta Roma che, il giorno dopo, vennero
uccise e sepolte nelle fosse Ardeatine, poco lontano da Roma. Fu una delle
stragi più gravi consumate in Italia durante la seconda guerra mondiale e,
insieme all’azione di via Rasella, ha continuato a causare polemiche fino ad
oggi.
Nel marzo del 1944 alcuni partigiani che appartenevano alle Brigate Garibaldi,
organizzate dal Partito Comunista italiano allora fuorilegge, notarono che un
grosso gruppo di soldati tedeschi percorreva quasi ogni giorno alcune strette
strade nel centro di Roma. Si trattava degli uomini del reggimento Bozen
(Bolzano), una formazione di polizia militare composta da altoatesini. La
regolarità del loro percorso, i ranghi compatti in cui marciavano e le strette
strade che percorrevano rendevano il gruppo un bersaglio ideale per un’azione
di guerriglia.
Il luogo
scelto per l’attacco fu via Rasella, una parallela di via del Tritone. In un
bidone della spazzatura vennero sistemate alcune cariche di esplosivo, mentre
un gruppo di partigiani si appostò nelle vie vicine per attaccare i tedeschi
dopo le esplosioni. Uno studente di medicina, Rosario Bentivegna, 21 anni,
travestito da spazzino, sistemò il bidone nella strada. Intorno alle 15.30,
circa mezz’ora in ritardo rispetto all’orario previsto, i soldati tedeschi
comparvero in fondo alla strada. Un altro partigiano, Franco Calamandrei, diede
il segnale levandosi il cappello. Bentivegna accese la miccia dell’esplosivo e
si allontanò. Un’altra partigiana, Carla Cappone, lo aspettava poco distante:
lo coprì con un impermeabile per nascondere l’uniforme da spazzino e si
allontanò insieme a lui.
Via Rasella
è, come allora, una strada piuttosto stretta. La forza dell’esplosione non
riuscì a sfogarsi e fu concentrata nei pochi metri della strada. L’intera
compagnia venne praticamente spazzata via: 33 militari tedeschi morirono
immediatamente o nelle ore successive e, secondo alcune ricostruzioni, altri 9
nei giorni successivi. Un altro centinaio di soldati, quasi tutta la compagnia,
rimasero feriti in maniera più o meno grave. Anche due civili morirono
nell’esplosione, mentre altri quattro furono uccisi nella sparatoria con cui i
tedeschi reagirono all’esplosione.
I soldati
tedeschi del reggimento Bozen erano uomini
tra i 26 e i 50 anni ed erano truppe di seconda linea. In altre parole non
erano né addestrati né equipaggiati per partecipare alle battaglie al fronte.
Il reggimento Bozen era una formazione ritenuta dai comandanti tedeschi
di scarsa qualità e adatta principalmente a compiti di polizia o di lotta ai
partigiani (un compito ritenuto meno difficile e rischioso di quello al
fronte). La formazione che si trovava a Roma era il III battaglione del
reggimento e vi arrivò – dopo un periodo di addestramento – nel febbraio del
1944. Per quanto ci siano prove della partecipazione degli altri due
battaglioni del reggimento in operazioni di rastrellamento ed uccisione di
civili nel nord Italia, il III reggimento non sembra aver compiuto nessun
crimine di guerra in Italia, almeno fino al 23 marzo del 1944.
Foto: via Rasella subito dopo l’attentato. (Bundesarchiv, Bild 101I-312-0983-10 / Koch / CC-BY-SA)
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