L’ipotesi di reato è genocidio. Il Tribunale dell’Aia ha risposto
così al figlio di Tiramani, Giuseppe, che, attraverso la consulenza del
suo legale Michele Morenghi, ha chiesto l’apertura del procedimento
tramite una memoria dove si sostiene che: «Mio padre fu prelevato nei
pressi di casa sua a Rustigazzo nel piacentino nel luglio del ’44 da un
gruppo partigiano della brigata Stella Rossa, fu processato e condannato
a morte senza un giudice, senza un comandante partigiano e senza una
sentenza a verbale. Fu fucilato poche ore dopo nei pressi del Monte
Moria. Mia madre lo trovò crivellato di colpi. Io non voglio vendette,
ho già perdonato tutti coloro che uccisero mio padre, abitavano nel mio
paese e li ho conosciuti personalmente dopo la guerra. Chiedo sia fatta
giustizia per il suo caso e per tutti gli altri combattenti della
Repubblica sociale uccisi in quegli anni nel piacentino».
In questo modo, l’International Criminal Court, la cui competenza si
estende a tutti crimini più gravi che riguardano la comunità
internazionale, come il genocidio appunto, i crimini contro l’umanità e i
crimini di guerra, potrebbe intervenire su una vicenda italiana che per
tanti decenni è rimasta volutamente occultata dalla storiografia
ufficiale ed è sopravvissuta solo grazie alla memoria dei sopravvissuti.
Fino alla comparsa dei libri di Giampaolo Pansa (un grande giornalista
che sa bene di storia), quanti italiani conoscevano le tristi vicende
della caccia al repubblichino, che si aprì dopo il 25 aprile 1945 per
protrarsi fino al 1946 e al 1947.
Da storiainrete.com
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