Un libro fotografico racconta, attraverso gli oggetti abbandonati, il calvario di chi fuggì da Istria e Dalmazia per salvarsi da Tito.
da Trieste -
«Tito ci ha costretto ad andarcene. Non potevo diventare slava. Si sono presi
la mia casa e la mia terra. Non sono riuscita a portare tutto.
Qualcosa
si trova ancora nel Magazzino 18. Gli armadi, la camera, la vetrina...»
racconta Fides Ramani, esule da Capodistria. Oggi, 10 febbraio di quasi 70 anni
dopo, istriani, fiumani e dalmati si ritrovano in tutta Italia per il Giorno
del ricordo dell'esodo e della tragedia delle foibe. Il libro Magazzino 18 Le
foto (Fergen, pagg.104, euro 25) ripercorre con «immagini e racconti degli
italiani d'Istria, di Fiume e Dalmazia», come recita il sottotitolo, un dramma
a lungo dimenticato. Cento pagine di scatti in un museo della memoria di 2mila
metri cubi, nel porto Vecchio di Trieste, dove sono ancora ammassate centinaia
di masserizie degli esuli, abbandonate allora, sulla via dell'esilio, con la
speranza vana di recuperarle. Le foto hanno il pregio di ridare «colore reale a
quelle sofferenze, risvegliare i sapori di quella cultura, sorridere ancora di
amare lettere d'amore» scrive Jan Bernas autore degli scatti. Il libro del
Ricordo, fino ad oggi poco conosciuto, verrà presentato sabato a Trieste sulla
scia delle manifestazioni per il 10 febbraio con la celebrazione solenne di
stamattina sul Carso davanti alla foiba di Basovizza.Nel Magazzino 18
l'orologio della storia si è fermato ai bottoni di una sarta, gli occhialini
tondi di un maestro, le foto sbiadite di famiglia, i chiodi portati via, come
la maniglia dell'uscio di casa. E al foglio del quaderno di scuola di una bambina
esule, che nel compito «La mattina a casa mia» descriveva i tempi felici, prima
della violenza etnica e della fuga, quando «piano piano mi vesto e via verso la
scuola». Simone Cristicchi, interprete della fortunata rappresentazione
teatrale Magazzino 18, che ha scosso le coscienze in tutta Italia, scrive nella
prefazione: «Ci si lascia avvolgere dal silenzio degli armadi, che sembrano
esseri pulsanti addormentati; tra le montagne di sedie che sembrano ragni di
legno aggrovigliati. E poi facce in bianco e nero. Facce senza nome, che
sembrano guardarti. Occhi che sembrano chiederti perché?. Questo è il cimitero
degli oggetti dove riposa - non in pace! - la vita quotidiana degli italiani
dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia, in fuga dal regime comunista di
Tito».Carla Isabella Elena Cace, esule di terza generazione, ha raccolto nel
libro i brevi, ma toccanti ricordi di chi visse quella tragedia dando
incredibilmente voce ai ricordi del Magazzino 18. «Oggi ci si chiede come mai
questo dramma sia stato ignorato per cinquant'anni. Evidentemente a molti la
verità non faceva comodo e i molti dovevano essere in tanti. Così, i tanti,
hanno semplicemente mistificato la verità, tacendo» ricordava il compianto
stilista Ottavio Missoni, esule da Zara. Le foto degli oggetti abbandonati nel
Magazzino 18 diventano parlanti con il ricordo flash di Lino Vivoda di Pola:
«Ammassate tra valige e pacchi, c'erano oltre duemila persone. Sul ponte del
Toscana tutti piangevano. Gli anziani soprattutto. Sapevano che non sarebbero
più tornati». Prima dell'istantanea sull'ammasso di sedie portate via, il
pugile Nino Benvenuti, di Isola d'Istria, non dimentica: «Le guardie dell'Ozna
(polizia segreta di Tito ndr) nella mia casa. Abbiamo caricato tutto quello che
c'era da portare via. La dignità della mia gente, esule: il povero non sembrava
povero e il ricco non pareva ricco». I pescatori si sono portati con se le reti
immortalate da Bernas. Il ricordo dell'esodo via mare di Marcella Buias Casolin
non poteva essere più attuale. «Con il motopeschereccio Luigina un viaggio
simile a quelli dei barconi di extracomunitari che giungono sulle nostre coste
- racconta - Siamo partiti solo con i cappotti. Così, nudi e crudi. Bastava la
vita...». Bruno de Bianchi, sopravvissuto al campo di concentramento tirino di
Borovnica, rivela i suoi incubi: «Durante la prigionia furono bestie. Le
immagini delle fucilazioni, della crudeltà delle guardie mi hanno accompagnato
per tutta la vita».Cristicchi scrive che Magazzino 18 è «l'unico e
irriproducibile museo di un esodo taciuto, che coinvolse centinaia di migliaia
di persone. Ogni oggetto qui dentro ha un'anima, una storia impressa nel legno,
una provenienza». Purtroppo ancora chiuso al pubblico, se non su appuntamento,
con le mura esterne scrostate dal tempo, ma tornate vive grazie a cento pagine
di foto dei ricordi abbandonati dagli esuli, per non dimenticare.
Di Fausto Biloslavo 10.02.2016
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