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LA STRAGE PARTIGIANA DI CASTIGLIONE DI COSTA D'ONEGLIA.

 


Era la sera inoltrata del 4 maggio del ’45.
Una nutrita squadra di comunisti dichiaratisi polizia partigiana riuscì a entrare nelle carceri di Imperia e a prelevare ventisei detenuti politici, che legarono ai polsi col filo di ferro alla stregua degli slavi quando infoibavano gli italiani.
Stretti gli uni agli altri su due autocarri raggiunsero Castiglione di Costa d’Oneglia ove, lungo una trincea, i ventisei, alla luce dei fari, furono allineati e colpiti a raffiche di mitra.
Dal mucchio di cadaveri si rialzò un ferito che col favore della notte riuscì a raggiungere la vicina Diano Castello.
Si chiamava Francesco Agnelli, operaio della Sepral di Sesti Ponente e aveva 45 anni.
Raccontò a tutti l’eccidio poi, ricercato a morte, si rifugiò a Diano Marina ove fu stanato due giorni dopo e fucilato.
Dell’eccidio si parlò a lungo ma dei responsabili non si fece mai parola. L’omertà gravava sul partito comunista che ne aveva ordinato l’esecuzione.
Il “neo questore” di Imperia, l’ex capo gappista ‘U Curto, al secolo Nino Siccardi, relazionò, non creduto, la procura sostenendo che l’eccidio sarebbe stato opera delle ultime frange fasciste.
Il 12 giugno successivo due giovani infermiere furono prelevate dallo stesso carcere e condotte a Oliveto d’Imperia ove, rinchiuse in una ex base partigiana, furono violentate per sei giorni e quindi uccise.
La ragione della loro eliminazione sarebbe stata la loro appartenenza alle ausiliarie repubblicane, in realtà avevano riconosciuto i due capi partigiani che comandavano la nutrita squadra dell’eccidio.
I nomi dei due responsabili emersero dai fascicoli della polizia militare alleata che nell’agosto del ’45 con l’accusa di crimini contro l’umanità aveva arrestato i partigiani “Mancen”, Massimo Gismondi (il primo a sinistra nella foto) e “Sparviero”, Domenico Semeria.
Le due infermiere violentate e uccise si chiamavano Giovanna Serini, 22 anni, di Treviso e Lidia Bosia, di 25, nata a Baldichieri d’Asti.
Nota a margine: il fratello del boia “Mancen”, Giuseppe Gismondi “Mancenin” partigiano anch’egli, il 20 settembre del ’44 aveva ucciso il brigadiere dei carabinieri Umberto Bertoli, che prima della guerra, l’aveva arrestato per furto e fatto condannare.
Entrato nella resistenza si ritrovò partigiano proprio nella brigata dei fratelli Gismondi.
E’ solo il caso di dire che il boia Gismondi, quello delle carceri, sarà decorato al valor militarte. Da pertini.
Post curato da Gianfranco Stella

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