Non avrei mai pensato di tornare a difendere la memoria delle foibe dall’oltraggio militante di collettivi intellettuali spalleggiati dall’associazione partigiani. Ritenevo ormai assodato il giudizio, l’orrore e la memoria delle foibe, seppure con diverse interpretazioni dei fatti e delle responsabilità. Ero poi riluttante a parlarne ancora perché pensavo che fosse sciagurato ridurre la storia agli stermini e alle sue pagine più nere. E mi pareva meschino cercare di usare il passato a scopi politici, propagandistici o di denigrazione degli avversari, che tornano così nemici, e assoluti. E invece un miserabile attacco, prima individuale poi collettivo, ha rimesso in discussione l’entità della tragedia istriana, dalmata e giuliana e l’opportunità di commemorarla a livello istituzionale con la giornata del ricordo.
Cos’è che rende inaccettabile sul piano storico, il riduzionismo, il dimenticazionismo, il negazionismo sulle foibe? Non solo e non tanto la riduzione numerica delle sue vittime, che per gli storici attendibili oscillano tra i 12 e i 15 mila trucidati e invece per la squallida contabilità ritoccata di questi riduzionisti all’ingrosso si riducono a cinquemila, e in alcuni casi a poche centinaia. Ma la cosa peggiore è un’altra: l’orrore delle foibe viene destoricizzato e ridotto a un’escrescenza patologica e periferica, isolata, che è dunque marginale, poco significativa, episodica. La storia delle foibe sembra una storia a sé, quasi una storia che non ha storia, cioè non ha origini e non ha conseguenze. E se deve rientrare in una storia più grande rientra solo nella storia delle reazioni al fascismo e al nazismo.
In realtà l’orrore delle foibe va inserito in un duplice quadro. A livello di storia d’Italia, quelle migliaia di vittime del massacro sono la punta più acuta di una tragedia che ha investito un popolo: sto parlando dell’esodo dall’Istria e dalla Dalmazia di centinaia di migliaia di italiani cacciati dalle loro terre. Il dolore dello sradicamento e della perdita di tutto, il degrado della loro condizione civile e umana, l’umiliazione della difficile accoglienza, l’ostilità di una parte (sinistra) della popolazione, la difficile integrazione. Un trauma terribile che si abbatté su intere famiglie, vecchi, madri, donne, bambini. Per non parlare del genocidio culturale annesso… Se Fiume è stata capitale europea della cultura lo scorso anno, lo deve alla storia, alla civiltà romana, veneziana e italiana che rese civili quelle terre e ricche di testimonianze di storia, arte e d’insediamenti rilevanti.
Ma l’orrore delle foibe non può essere isolato da un più vasto orrore che ha assunto dimensione mondiale come nessun’altra pur raccapricciante esperienza ha avuto: le foibe sono il capitolo “italiano” del libro nero del comunismo a livello planetario. Il movente ideologico e politico delle foibe è lo stesso del comunismo mondiale: la stessa guerra etnica contro gli italiani va inserita nella lotta di classe e nella lotta politica per imporre la società comunista. Ricordando le foibe noi ricordiamo l’altro orrore del Novecento, oltre il nazismo, un orrore che ha peculiarità uniche nella storia del mondo, ed è necessario ripeterlo ancora una volta: il comunismo è nato prima dell’orrore nazista ed è sopravvissuto di vari decenni alla sua morte, e ancora resiste pur trasmutato; ha toccato più popoli e più continenti, è durato più a lungo, ha compiuto massacri non solo in tempo di guerra ma anche e soprattutto in periodi di pace e ha sterminato le stesse popolazioni dei paesi in cui era instaurato. Il comunismo è l’unico regime totalitario che ha dovuto circondarsi del filo spinato e dei muri per impedire che la gente fuggisse dalle proprie patrie infestate. E il numero delle vittime del comunismo è di gran lunga il maggiore nella storia dell’umanità, ammonta a svariate decine di milioni: dalla Cina alla Russia, dall’Ungheria alla Polonia e tutti i paesi “satellite”, da Cuba alla Cambogia. Per non dire del terrorismo italiano ed europeo nel nome dell’ideologia comunista.
Dunque, ricordare le foibe non è semplicemente ricordare lo sterminio di migliaia di italiani in un numero perfino più ragguardevole degli ebrei italiani morti nei campi di sterminio. Ma significa ricordare il costo umano del comunismo nel mondo attraverso le vittime italiane. Del resto, i partigiani che compirono quelle stragi rispondevano al comunismo e al loro comandante, Tito, all’epoca organico al comunismo internazionale, sostenuto dai comunisti italiani che ubbidivano a Togliatti e al Partito Comunista d’Italia che aveva sposato la “tattica delle foibe” come allora scrivevano con cinismo mafioso e allusivo.
Purtroppo questa elementare, evidente verità viene negata o elusa, comunque viene disonestamente aggirata. Detto questo, torno a sostenere quel che dicevo all’inizio e che sostengo da anni: non possiamo ridurre la memoria storica solo agli orrori, agli stermini e al martirologio delle vittime, la storia è fatta di miserie e grandezze, di gloria e d’infamia, parliamo dell’intero e non solo di una parte; e non possiamo imprigionare il presente, i suoi attuali protagonisti, nelle accuse e negli orrori del passato. Quel continuo giudicare e condannare i figli per quel che fecero i loro padri, e i loro nonni…
MV, La Verità (3 settembre 2021)
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