25 aprile 2016. La chiamano ancora "liberazione". L'inizio di terrore e vendetta. In migliaia massacrati dall’odio partigiano.
Civili, donne, sacerdoti massacrati dall’odio
partigiano. Un elenco di vittime così lungo che è impossibile da analizzare, da
raccontare.
La data del
25 aprile, che il calendario delle feste civili indica come il giorno dedicato
alle celebrazioni della Liberazione, è un giorno che ancora oggi, a distanza di
decenni dalla fine della guerra, porta con sé divisioni e polemiche. Dettate
principalmente dall’odio ideologico di chi si rifiuta di ammettere colpe e
responsabilità della propria fazione in uno spargimento di sangue fratricida
che ha davvero poco della guerra tradizionalmente intesa.
Terrore e
vendetta dunque. Ed un elenco di vittime quasi impossibile da analizzare in
maniera approfondita e completa. Nomi di persone non solo considerate in
qualche modo colluse con il fascismo, ma anche solo sospettate di simpatie o
contatti che spesso in realtà non c’erano neanche stati. Persone la cui
esistenza (e soprattutto la cui morte) in molti preferiscono relegare
nell’angolo degli episodi da dimenticare.
A loro, alle
loro famiglie e a tutti coloro che hanno davvero a cuore la storia del nostro
Paese, finalmente e realmente condivisa, è dedicato il nostro 25 aprile. Un
giorno che, finché non sarà resa giustizia a tutte le vittime, sarà sempre e
soltanto la rivendicazione di un dramma di cui, a mente fredda, c’è veramente
poco da essere fieri.
Donne,
madri, sorelle, figlie
In tutta
Italia furono moltissime le donne uccise dai partigiani: non solo quelle
impegnate politicamente o militarmente in quell’ultimo scorcio di guerra, ma
anche figlie, mogli, madri di soldati al fronte. Rapite, violentate, torturate
con una barbarie che lascia senza parole. Ne citiamo solo alcune, a
simboleggiare il sacrificio silenzioso di tutte le italiane che hanno subito la
stessa terribile sorte.
-
Annamaria Bacchi, sorella di un ufficiale della GNR. Il suo cadavere fu
ritrovato in un campo in quel di Modena a due anni dalla scomparsa
-
Rosaria Bertacchi Paltrinieri e Jolanda Pignati, entrambe coinvolte nel
fascismo modenese. Prelevate nelle loro abitazioni, furono violentate di fronte
ai rispettivi mariti e figli e quindi sepolte vive
-
Ines Gozzi, 24 anni, fidanzata di un fascista, violentata e finita con un colpo
alla nuca
-
Laura Rava, 66 anni, seviziata ed uccisa ad Ivrea con l’accusa di essere una
spia. Come anche Camilla Durando Chiappirone, 73 anni
-
Maria Deffar Delfino, 55 anni, soppressa perché madre di un marò della X Mas
-
Amodio Rosa, 23 anni, assassinata nel luglio del 1947, mentre in
bicicletta andava da Savona a Vado
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Crivelli Jolanda, vedova ventenne di un ufficiale del Battaglione “M”
costretta a denudarsi e fucilata a Cesena, sulla piazza principale, dopo essere
stata legata ad un albero, ove il cadavere rimase esposto per due giorni e due
notti
-
Genesi Jole, Rovilda Lidia: Torturate all’hotel San Carlo di Arona
(Novara) e assassinate il 4 maggio 1945. In servizio presso la GNR di Novara.
Catturate alla Stazione Centrale di Milano, ai primi di maggio, le due
ausiliarie si erano rifiutate di rivelare dove si fosse nascosta la loro
comandante provinciale
-
Tam Angela Maria, terziaria francescana, assassinata il 6 maggio 1945 a
Buglio in Monte (Sondrio) dopo aver subito violenza carnale
-
Buzzoni Adele, Buzzoni Maria, Mutti Luigia, Nassari Dosolina, Ottarana
Rosetta. Facevano parte di un gruppo di ausiliarie catturate all’interno
dell’ospedale di Piacenza e messe al muro per essere fucilate. Adele Buzzoni
supplicò che salvassero la sorella Maria, unico sostegno per la madre cieca. Un
partigiano afferrò per un braccio la ragazza e la spostò dal gruppo. Ma,
partita la scarica, Maria Buzzoni, vedendo cadere la sorella, lanciò un urlo
terribile, in seguito al quale venne falciata dal mitra di un partigiano
Sacerdoti,
Ministri di Dio
Moltissimi
furono i sacerdoti assassinati dai partigiani dal 1944 in poi: i corpi di molti
di loro non hanno mai trovato sepoltura, sono stati massacrati e abbandonati
alle intemperie. Della loro storia si è occupato, tra gli altri, un
giornalista, Roberto Beretta, che ha cercato informazioni presso gli archivi
diocesani lungo lo Stivale, spesso scontrandosi con l’omertà che da decenni
caratterizza questo spaccato della nostra storia.
Raccontare
la vicenda di ciascuno di loro è impossibile in questa sede, troppi sono i nomi
degli uomini di Dio trucidati in quei terribili mesi. Ne citeremo alcuni, che
costituiranno una testimonianza che renda onore a tutti. Molti, tra l’altro,
sono morti senza nome. Dall’indagine di Beretta emergono dati spaventosi: gli
uccisi sono centinaia, tra cappellani militari, parroci, viceparroci,
seminaristi, novizi e religiosi laici.
Il caso più
noto è quello di don Tullio Calcagno, impegnato direttamente nella Repubblica
sociale, fondatore del movimento Crociata Italica, ucciso il 29 luglio 1945 e
trasportato a Musocco su un carretto della spazzatura. Ma di sacerdoti
barbaramente assassinati ce ne furono moltissimi.
Don Luigi
Lenzini, per esempio, il parroco sessantenne di Crocette, nel modenese.
“Lasciate almeno che mi vada a vestire” aveva chiesto il Ministro di Dio. Non
gli fu concesso: fu trascinato, di notte, in una vigna. Fu torturato, gli
furono cavati gli occhi, infine lo strangolarono e lo seppellirono lasciando la
testa a sporgere fuori dalla terra.
Rolando Rivi
era un seminarista di appena 14 anni: fu prelevato la mattina del 10 aprile
1945 da partigiani comunisti e ucciso due giorni dopo. E ancora Don Giuseppe
Amatello, ucciso a colpi d’ascia il 15 marzo 1944; don Giuseppe Guicciardi,
assassinato a colpi di pistola dopo aver sfamato un gruppo di partigiani che
gli aveva chiesto sostegno; don Giuseppe Preci, portato fuori dalla canonica
con un pretesto e freddato da una scarica di mitra.
Sono solo
alcuni nomi di una lunghissima, macabra lista. Il ricordo di loro sia un
pensiero che raggiunga tutti.
Civili,
gente comune, italiani
Anche
moltissimi civili furono trucidati dai partigiani in quei mesi bui che
caratterizzarono gli ultimi periodi di guerra ma anche i mesi successivi, a
guerra finita. Crimini che non sono mai stati riconosciuti né rispettati, se
molte vie e piazza d’Italia sono intitolate a dubbie figure che sono state
spacciate per eroiche lungo gli scorsi decenni. Un caso è quello della giovane
mamma Assunta Vannozzi, uccisa a Leonessa, in provincia di Rieti nel marzo del
1944, che fu strappata dalle braccia del figlio di soli due anni. Un altro
episodio di estrema brutalità è quello che ha come vittime i membri della
famiglia Govoni, composta di Cesare e Caterina, con i loro otto figli: Dino
viene ammazzato a 41 anni, Marino – padre di una bambina - a 33, Emo a 32,
Giuseppe – divenuto padre da appena tre mesi - a 30, Augusto a 27, Primo a 22,
Ida – mamma di un bambino di due mesi - a 20 anni. L’unica della famiglia a
sopravvivere a quell’orrenda strage fu Maria: nata nel 1912 e sposata da poco,
si era trasferita con il marito e i partigiani non erano riusciti a trovarla. I
sette fratelli Govoni furono prelevati dai partigiani il 10 maggio del ’45 e
tradotti in un podere, dove furono selvaggiamente picchiati. Con loro erano
anche altri prigionieri: tutti vennero massacrati di botte per ore. La ferocia
dei partigiani della “Brigata Paolo” si abbatté sugli innocenti fino a causarne
la morte tra le urla e la disperazione, fino alle 23 della tarda sera, quando
completarono l’orrenda opera appropriandosi dei pochi effetti personali delle
vittime. La mamma dei sette fratelli Govoni cercò di recuperare le ossa dei
poveri ragazzi. Dopo molto tempo lo Stato assegnò all’infelice madre settemila
lire al mese di pensione: mille lire per ogni figlio trucidato.
Tantissime
sono le storie di civili innocenti massacrati da quelli che spesso vengono
definiti “eroi”. Il ricordo di questi che abbiamo citati simboleggi la memoria
di tutti.
Tanto sangue
dunque. Sangue italiano, sangue volutamente trascurato. Sangue fratricida e non
solo in termini di nascita. Vittime della furia cieca di quei mesi terribili
furono anche alcuni partigiani appartenenti a formazioni di matrice cattolica,
trucidati da coloro che consideravano “commilitoni” ma che hanno invece
sperimentato sulla loro pelle la follia di uno spargimento di sangue che,
ancora oggi, qualcuno si ostina a festeggiare. Senza alcuna possibilità di
contestazione critica di quanto avvenuto, pena la condanna ad una gogna senza
appello.
Il 25 aprile
è una data simbolo, è vero. Di lutto. Ma la chiamano “liberazione”.
Emma
Moriconi e Cristina Di Giorgi
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