Passa ai contenuti principali

Il film “Il Segreto” di Antonello Belluco, che racconta i crimini di Codevigo a guerra finita, fa riflettere

La sanguinosa democrazia dei partigiani.
Un uomo di 84 anni legge del lungometraggio su Libero e racconta al quotidiano alcune confidenze di un ex partigiano
Ancora non è nelle sale eppure già fa parlare di sé. “Il Segreto” è una testimonianza di verità impressa su pellicola: il regista Antonello Belluco può esserne fiero. Perché è grazie alla notizia, apparsa sulla colonne di Libero, delle travagliate vicende del lungometraggio diretto dal regista padovano – delle quali anche Il Giornale d’Italia si è ampiamente occupato – che un uomo di 84 anni ha avuto il coraggio, o forse il bisogno, di raccontare ciò che sapeva. Segreti inconfessabili, terribili, di una pagina buia e dolorosa della storia d’Italia: quella delle stragi partigiane. 
“Il Segreto”racconta le vicende di Codevigo all’indomani  della Seconda Guerra Mondiale, quando i partigiani della Brigata Garibaldi guidata da Arrigo Boldrini uccisero, a guerra ormai terminata, centinaia di civili. 
Il film è una storia d’amore, a cui l’eccidio fa da sfondo. Uno sfondo che è un pezzo di storia che si è cercato in ogni modo di annullare, di nascondere. Le defezioni che ha subito Belluco nell’orgoglioso e tenace tentativo di imprimere sulla pellicola le immagini devastanti di quell’orrore sono state tantissime. Lui non si è arreso, e alla fine l’ha spuntata: il film è stato girato, nonostante le innumerevoli difficoltà, ed è in fase di postproduzione. Vanta un cast di esordienti ed una madrina d’eccezione: Romina Power, che è tornata in Italia proprio per girarlo. 
Ed ecco il racconto dell’84enne Giuseppe Della Valle, fatto a Pierangelo Maurizio di Libero: “nel ’60-’61 lavoravo alla Phillips Petroleum Co. di Ravenna all’ampliamento di alcuni silos. Alla sera (il capocantiere) veniva per farsi firmare lo stato di avanzamento lavori. E così dai primi accenni e poi dalle prime confidenze ho appreso diversi particolari. A Villa Ghellero era lui a fare gli interrogatori, a piano terra. Il suo compito era quello di separare gli ufficiali, la cui sorte era segnata, dai militi semplici, che potevano salvarsi. A interrogatorio finito mandava un bigliettino. Al piano di sopra un comandante decideva chi doveva morire”. Insomma, il quadro che si delinea dal racconto di Della Valle è inquietante: nessun tribunale a giudicare, un uomo si sostituiva alla giustizia e a Dio, decidendo da solo della vita e della morte delle persone. E il peggio deve arrivare: “mi raccontò – continua Della Valle – che per alcuni ufficiali era riservato un trattamento particolare. Venivano inchiodati per diverse ore alle porte delle case vicine e poi finiti con un chiodo martellato in testa”.
È un racconto terrificante, che fa accapponare la pelle. E poi: “in alcuni casi, prima di arrivare a Villa Ghellero, l’autocarro con i prigionieri si fermava vicino ai corsi d’acqua del Brenta, li obbligavano a scendere e li fucilavano facendoli cadere in acqua. Siccome poi i Thompson, i mitra inglesi, “mangiavano” forte e loro avevano poche munizioni per la loro difesa personale, molti furono finiti a badilate dopo che i badili erano stati usati per scavare le tre fosse comuni” … “quando gli manifestavo il mio raccapriccio, mi ripeteva quelle parole: a quei tempi si faceva e si doveva fare così, adesso sarebbe diverso … come per attenuare la morsa del ricordo, per spalmare il rimorso sugli altri”. 
“A quei tempi si faceva e si doveva fare così”: quasi una giustificazione, che vale solo per loro. 
Se si pensa agli usi della Sparta precristiana, per esempio, secondo i quali un bambino nato malformato doveva essere ucciso, oggi pensiamo “a quei tempi si faceva così”, e non ci scandalizziamo oltre misura. Ecco: ai tempi di Sparta si doveva fare così. Ai tempi dei partigiani si doveva fare così. Vale per tutte le epoche storiche, eccetto che per una: i crimini che non si possono dimenticare, guai solo a pensarlo, sono quelli fascisti. Per il Ventennio la regola non vale, in omaggio alla legge dei due pesi e due misure, cancro dell’Italia dal secondo dopoguerra in poi.
E invece di crimini ne sono stati compiuti tanti, anche  dai partigiani, ma sono crimini dimenticati, nascosti sotto una coltre di omertà e di convenienza, negati nonostante l’evidenza. Crimini per cui nessuno ha pagato, omicidi brutali di persone innocenti ad opera di partigiani, spesso osannati come pacificatori, con l’omertà di tutti. 
I libri di storia, che tante pagine hanno dedicato alle glorie dei partigiani, ne hanno omesso, con lucidità e con dolo, gli orrori. 
Come per le foibe, le cavità carsiche in cui i comunisti di Tito gettarono Italiani innocenti, torturati e vilipesi. Italiani che venivano legati l’un con l’altro da filo spinato in modo da sparare un solo colpo al primo della fila: senza “sprecare” troppe pallottole, egli si trascinava gli altri nella foiba. 
Morire di stenti, in una cavità rocciosa inospitale, ammassati gli uni sugli altri, era il destino che i titini riservavano agli Italiani. Sui libri di storia  se ne parla solo da qualche anno, e dopo lunghe battaglie ideali.  
Ma il tempo della storia a senso unico è scaduto. Il terzo millennio reclama la verità, e chissà quante persone, come il buon Della Valle, conservano segreti atroci che hanno paura di svelare. 
Il tempo è scaduto, le verità della storia vanno consegnate alla storia, e la storia ne sia depositaria con equità e senza omertà, con trasparenza e senza secondi fini.  
Pierangelo Maurizio, su Libero, fa una chiosa condivisibile: “Non vengono riportati nomi e cognomi citati con precisione nella conversazione perché al sottoscritto e al signor Giuseppe Della Valle interessa cercare di ricostruire i fatti e non le responsabilità personali, per il cui accertamento da parecchio è passato il tempo utile”. 
Il regista scomodo
Antonello Belluco è un regista “scomodo”, perché ha scelto, come sfondo del suo ultimo film, l'eccidio di Codevigo. Un argomento che, ancora oggi, è difficilissimo riuscire a trattare senza essere accusati di “partigianeria al contrario”. Belluco ha avuto infatti parecchi problemi nella realizzazione de Il segreto. E ne ha parlato, in una lunga chiacchierata, con Il Giornale d'Italia.
Raccontiamo a chi ancora non lo sa di cosa parla il tuo film
La protagonista è una ragazza che riesce a percepire la bellezza del mondo nonostante il dramma della guerra. Italia (questo il nome della giovane) si innamora di un giovane fascista del luogo, che a sua volta ama una profuga. La purezza di Italia verrà svezzata in un dramma personale che arriva fino ai nostri giorni. Un “segreto” che non riguarda solo lei, ma anche tutti coloro che si sono resi responsabili di un eccidio che fino ad oggi non è stato ancora raccontato. Ed è giusto che finalmente qualcuno lo faccia.
Nel mio film l'eccidio di Codevigo è “solo” lo sfondo. Alla fine c'è un messaggio per me molto importante: uno dei partigiani strappa ad uno dei giustiziati una croce insanguinata, che conserva come bottino di guerra. E che diverrà un simbolo di speranza quando, anni dopo la strage, viene restituita al padre di una delle vittime come segno di pacificazione: la ricostruzione dell'Italia non può prescindere dalla ricostruzione reale della storia, senza accuse nei confronti di nessuno, ma con coscienza e sincerità. Bisogna poter rivedere insieme qualcosa che fa parte di un passato che deve diventare chiaro e condiviso, perché solo nella chiarezza del nostro passato c'è la speranza nel futuro.
Ti abbiamo definito “regista scomodo” perché il tuo voler raccontare la verità storica dell'eccidio di Codevigo, ti ha creato parecchi problemi. Che tipo di difficoltà hai incontrato nella lavorazione de “Il segreto”?
Premetto che leggendo di quel che è successo a Codevigo ho provato una certa sofferenza anche personale, perché mi è tornato alla mente un altro capitolo “dimenticato” della storia italiana, quello delle foibe (che peraltro ha coinvolto direttamente la mia famiglia). E ho portato questo coinvolgimento nella lavorazione del film. Man mano che andavo avanti mi accorgevo che avevo scelto un argomento più difficile del previsto, perché il comandante della Garibaldi, Arrigo Boldrini, era stato deputato e senatore, nonché presidente dell'ANPI. Oltretutto sia lui sia il gruppo da lui guidato erano stati insigniti della medaglia d'oro al valore della resistenza. Che secondo la vulgata dominante è stata quella che ha ridato vita e valore alla nuova Italia. Inutile dire che parlare di episodi in cui i partigiani hanno commesso atrocità è nella migliore delle ipotesi considerato irriverente. Dopo due anni di lavoro, materialmente ed emotivamente faticoso, ci siamo trovati in ginocchio. Forse in seguito alle due raccomandate ricevute dall'avvocato della famiglia di Arrigo Boldrini e/o ad altre pressioni, ci sono stati rifiutati i mezzi e i finanziamenti – che già avevamo ottenuto – per proseguire nella realizzazione del film. Per fortuna grazie ad un articolo di Stefano Lorenzetto (apparso l'11 novembre scorso su Il Giornale), si sono accesi i riflettori sulla storia de Il segreto. Poi, anche grazie a Il Giornale d'Italia e al passaparola che ne è seguito, si è attivata una specie di “questua popolare”, un contributo economico collettivo al mio progetto. Che ha dato a tutti noi una nuova spinta oltre che materiale, anche – e forse soprattutto – morale, che ci ha indotto ad andare avanti nonostante tutto e tutti.
Per finanziare le riprese avete realizzato un libro che racconta il film, illustrandone sceneggiatura, lavorazione del soggetto, scenografia e costumi. Come nasce questa idea?
Si tratta di un modo di “vendere il cinema” diverso da quello convenzionalmente usato qui in Italia. Noi invece abbiamo deciso di realizzare un libro di presentazione del nostro film, al quale allegheremo il dvd. E li abbiamo messi in prevendita (verranno distribuiti dopo l'uscita). Di solito il materiale di questo genere serve a far guadagnare ulteriormente dopo l'uscita nelle sale. Per noi invece quello che potrebbe essere il nostro riscontro economico futuro è un'entrata anticipata che ci serve per poter realizzare il film.
Chi volesse sostenere Il segreto e “dare voce a questa storia dimenticata”, può ordinare libro e dvd oppure effettuare un bonifico.
Tutte le info su http://www.eriadorfilm.it/PAGINE/pagamento.html. E' un piccolo gesto, che può aiutare a completare un lavoro realizzato con amore, passione e tanto sacrificio. Ma è anche un contributo dato alla Verità della nostra storia.

Emma Moriconi e Cristina Di Giorgi

Commenti

Post popolari in questo blog

30 aprile 1945. Eccidio di Pedescala (VI). “Spararono poi sparirono sui monti"

“Spararono poi sparirono sui monti, dopo averci aizzato contro la rabbia dei tedeschi, ci lasciarono inermi a subire le conseguenze della loro sconsiderata azione.  Per tre giorni non si mossero, guardando le case e le persone bruciare. Con quale coraggio oggi proclamano di aver difeso i nostri cari”  (Il Giornale, 29 aprile 1983) Negli ultimi giorni di aprile 1945 era ormai chiaro che la guetra era finita. Reparti tedeschi abbandonavano le loro posizioni verso il fronte e cercavano di rientrare in patria, per finire a casa la guerra. La valle del torrente Astico, la Val d'Astico, costituiva una strettoia su cui si dovevano incanalare molti reparti provenienti dalla pianura e diretti al Brennero. A partire dal 25 aprile le notizie sulle sollevazioni, sulla caduta di Milano, sulla morte del Duce, accelerarono questo movimento, che verso il 26 aprile era ormai un fiume in movimento, sempre più rapido. Reparti disparati si susseguivano lungo la Val d'Astico, mirando a us

21 gennaio 1945. Ines Gozzi e il padre trucidati dai partigiani della brigata “Garibaldi”

Ines Gozzi, una bella ventiquattrenne di Castelnuovo Rangone (MO), è una studentessa universitaria, laureanda in lettere. Conoscendo la lingua tedesca è diventata l’nterprete del locale Comando Germanico. Ciò ha significato la salvezza del paese quando i partigiani hanno ucciso due soldati tedeschi nella zona e questi volevano distruggere l’abitato. E’ stata proprio Ines Gozzi a interporsi e a battersi perchè la rappresaglia fosse evitata. Così, da quel giorno, tutti gli abitanti di Castelnuovo Rangone lo sanno e gliene sono grati. Ma tutti sanno anche che la ragazza è fidanzata con un ufficiale della Guardia Nazionale Repubblicana e questa è una colpa imperdonabile agli occhi dei “ partigiani assassini -salvatori della patria- ed eroi coraggiosi pluridecorati “! La notte del 21 gennaio 1945 una squadra di partigiani della brigata “ Garibaldi ” fa irruzione in casa Gozzi prelevando Ines e suo padre. I due vengono portati in un casolare in aperta campagna e qui, davanti al geni

Partigiani assassini: il caso di Jaures Cavalieri, "stupratore seriale"

Dal libro di Gianfranco Stella "I grandi killer della liberazione - Saggio storico sulle atrocità partigiane" Condannato più volte per i suoi omicidi, l'Anpi quando morì ne fece invece addirittura un baluardo di libertà e di coraggio Accade, quando si è curiosi, di imbattersi in volumi che ti lasciano il segno. Sfogli quelle pagine e senti lo stomaco rivoltarsi, man mano che procedi nella lettura. Ogni pagina è un colpo sferrato in pieno petto, roba che fa male e che però fa anche riflettere. Fa riflettere sulla giustizia dell'uomo, che - lo sappiamo dai tempi di Antigone - è cosa diversa da quella suprema di Dio. Succede di indignarsi, di chiedersi perché l'uomo possa essere capace di certe bassezze, e di domandarsi se ci sarà mai una giustizia. Che poi non si pretende ormai più la giustizia dei tribunali, perché i reati cadono in prescrizione e anche perché ormai oggi molte di quelle persone che dovrebbero finire dietro le sbarre sono già morte per co