Passa ai contenuti principali

Giuseppina Ghersi. L’Orco partigiano e la bambina fascista

L’OCCHIO SULL’INFERNO
Non è una favola. È una storia vera. Parla di Orchi trasformati in eroi e di una bambina trasformata in vittima sacrificale di bestie feroci.
 

L’ orrore era rimasto impresso sul suo viso, una maschera di sangue, con un occhio bluastro tumefatto e l’altro spalancato sull’inferno”. 
Così racconta Stelvio Muraldo, l’uomo che notò il corpo della piccola Giuseppina Ghersi tra il cumulo di cadaveri abbandonati davanti al cimitero di Zinola poco fuori Savona, in quei giorni di Aprile del 1945; macabro regalo lasciato alla storia del nostro Paese da giustizieri partigiani, eroici campioni di atrocità impunite.
Erano terribili le condizioni in cui l’ avevano ridotta (…) avevano infierito in maniera brutale su di lei, senza riuscire a cancellare la sua giovane età‘”. 
Perché Giuseppina Ghersi aveva 13 anni quando il 25 Aprile fu prelevata insieme ai genitori, gestori di un banco di frutta e verdura al mercato di San Michele, e portata nel campo di concentramento di Legino; uno dei luoghi degli orrori messi in piedi dai partigiani comunisti finita la guerra, ma che non troverete raccontati su nessun libro di scuola; luoghi dove si consumarono crudeltà, eccidi, torture, esecuzioni di massa, come in quello di Mignagola vicino Treviso, un luna park del sadismo per quelli della Brigata Garibaldi. 
Una parte dell’antifascismo aveva un più saldo convincimento ideale associandosi al banditismo 
A Legino la famiglia Ghersi conobbe un volto inaspettato della democrazia che stava arrivando: madre e figlia seviziate e stuprate dai “Liberatori” davanti agli occhi del padre affinché confessasse dove nascondeva denaro e gioielli che pensavano possedesse. Perché c’era una parte dell’antifascismo di quei tempi che aveva un più saldo convincimento ideale associandosi al banditismo.
Poi la famiglia Ghersi venne divisa: papà e mamma portati nel carcere di S. Agostino (nonostante il comando partigiano avesse dichiarato cha a loro carico “non era emerso nulla”), mentre la piccola Giuseppina trattenuta nel campo, dove venne uccisa qualche giorno dopo, con un colpo di pistola alla testa; forse perché non potevano rimanere aperti gli occhi che avevano visto un aspetto dei Liberatori che non doveva essere raccontato.
La tragedia della famiglia Ghersi continuò negli anni successivi con persecuzioni, violenze, povertà tanto che i genitori furono costretti a lasciare Savona e a mendicare in giro per l’Italia.
Quella di Giuseppina Ghersi è una delle innumerevoli storie di violenze e abusi che si consumarono in quel periodo storico terribile che fu la Guerra civile italiana. Dall’una e dall’altra parte. Violenze che non risparmiarono bambini e adolescenti, figli di fascisti o comunisti o semplicemente inciampati in un destino più cattivo della loro innocenza. 
Ma a differenza di altri, Giuseppina fa parte di quei morti che non sono mai morti perché non sono mai esistiti.
Persino Wikipedia rifiuta di ospitare la sua storia; troppo complicato ammettere che la Resistenza non fu quell’ovattato racconto eroico su cui si è costruita la grande menzogna italiana e l’ordine morale dei vincitori.
L’ORCO PARTIGIANO
La storia della piccola Ghersi torna alla ribalta oggi che il comune di Noli ha deciso di dedicarle una targa scatenando le reazioni violente degli antifascisti del nuovo millennio che di nuovo non hanno nulla.

Il Segretario provinciale dell’Anpi, l’Associazione Nazionale Partigiani, è sdegnato, scandalizzato, offeso: “Giuseppina Ghersi era una fascista. Protesteremo col Comune di Noli e con la prefettura”.
L’Anpi di Savona rilascia un comunicato più articolato per giustificare l’ingiustificabile: “La pietà per una giovane vita violata e stroncata non allontana la sua responsabilità per la scelta di schierarsi ed operare con accanimento a fianco degli aguzzini fascisti e nazisti”. 
Sembra che parlino di un gerarca del regime o di un fucilatore; invece parlano di una ragazzina di 13 anni violentata, seviziata da belve feroci che solo l’indecenza morale può evitare di condannare. 
A 13 anni non sei una fascista; neppure una comunista. Sei solo una bambina che la vita insegue nel turbine della storia 
Nei giorni in cui il Paese assiste ad un crescendo di violenze sulle donne, questi vecchi arnesi di un antifascismo militante pagato con i soldi nostri, manifestano una impietosa capacità di disprezzare il corpo e la dignità di una ragazzina.
Non una sola parola contro gli Orchi che hanno violato quella giovane, anzi quasi una giustificazione: “lei era una spia!”, tuona un esponente politico della sinistra ligure.
Ma è possibile parlare di “responsabilità per essersi schierata con accanimento” per una bambina di 13 anni? A 13 anni non sei una fascista; a 13 anni non sei neppure comunista. A 13 anni sei solo una bambina che segue la vita e che la vita insegue anche nel turbine della storia, della guerra, dell’orrore.
Ci vorrà una giornata intera perché la Segreteria Nazionale dell’Anpi definisca “terribile e ingiustificabile” ciò che fu fatto a Giuseppina, aggiungendo con ipocrisia pelosa di “aver sempre condannato gli atti di vendetta e violenza perpetrati all’indomani della Liberazione”; cosa non vera, avendoli per decenni sempre negati e nascosti. 
ABDULLAH E GIUSEPPINA 13 anni aveva anche Abdullah, il bambino siriano (o forse palestinese) ucciso e poi decapitato in Siria dai ribelli jihadisti anti-Assad un anno fa, non prima di averlo seviziato e aver immortalato la sua paura attorno al ghigno dei suoi massacratori; anche loro, per l’Occidente, erano i “Liberatori”, anche loro si ergevano a combattenti per la libertà; anche per loro il bambino siriano era una spia. Anche loro sono degli Orchi.
La verità è che molti di quelli che combatterono il fascismo erano peggio dei peggiori fascisti. Così come i “Ribelli moderati siriani”, sono spesso il volto dell’orrore islamista.
La Resistenza fu tante cose insieme: fu eroismo ma anche infame vigliaccheria, idealismo ma anche criminalità; fu desiderio di libertà ma anche volontà di imporre più cruente dittature.
Roger Scruton, uno dei più lucidi pensatori del nostro tempo, ha scritto che “il primo obiettivo di ogni totalitarismo è annientare la memoria”.
Ecco perché quelli dell’Anpi che vogliono negare il ricordo di Giuseppina non hanno nulla a che fare con la democrazia.
Ecco perché, una nazione che riannoda i fili di una storia sotterrata e nascosta, fa un dono alla propria libertà.

Su Twitter: @GiampaoloRossi



Commenti

Post popolari in questo blog

21 gennaio 1945. Ines Gozzi e il padre trucidati dai partigiani della brigata “Garibaldi”

Ines Gozzi, una bella ventiquattrenne di Castelnuovo Rangone (MO), è una studentessa universitaria, laureanda in lettere. Conoscendo la lingua tedesca è diventata l’nterprete del locale Comando Germanico. Ciò ha significato la salvezza del paese quando i partigiani hanno ucciso due soldati tedeschi nella zona e questi volevano distruggere l’abitato. E’ stata proprio Ines Gozzi a interporsi e a battersi perchè la rappresaglia fosse evitata. Così, da quel giorno, tutti gli abitanti di Castelnuovo Rangone lo sanno e gliene sono grati. Ma tutti sanno anche che la ragazza è fidanzata con un ufficiale della Guardia Nazionale Repubblicana e questa è una colpa imperdonabile agli occhi dei “ partigiani assassini -salvatori della patria- ed eroi coraggiosi pluridecorati “! La notte del 21 gennaio 1945 una squadra di partigiani della brigata “ Garibaldi ” fa irruzione in casa Gozzi prelevando Ines e suo padre. I due vengono portati in un casolare in aperta campagna e qui, davanti al geni

30 aprile 1945. Eccidio di Pedescala (VI). “Spararono poi sparirono sui monti"

“Spararono poi sparirono sui monti, dopo averci aizzato contro la rabbia dei tedeschi, ci lasciarono inermi a subire le conseguenze della loro sconsiderata azione.  Per tre giorni non si mossero, guardando le case e le persone bruciare. Con quale coraggio oggi proclamano di aver difeso i nostri cari”  (Il Giornale, 29 aprile 1983) Negli ultimi giorni di aprile 1945 era ormai chiaro che la guetra era finita. Reparti tedeschi abbandonavano le loro posizioni verso il fronte e cercavano di rientrare in patria, per finire a casa la guerra. La valle del torrente Astico, la Val d'Astico, costituiva una strettoia su cui si dovevano incanalare molti reparti provenienti dalla pianura e diretti al Brennero. A partire dal 25 aprile le notizie sulle sollevazioni, sulla caduta di Milano, sulla morte del Duce, accelerarono questo movimento, che verso il 26 aprile era ormai un fiume in movimento, sempre più rapido. Reparti disparati si susseguivano lungo la Val d'Astico, mirando a us

Partigiani assassini: il caso di Jaures Cavalieri, "stupratore seriale"

Dal libro di Gianfranco Stella "I grandi killer della liberazione - Saggio storico sulle atrocità partigiane" Condannato più volte per i suoi omicidi, l'Anpi quando morì ne fece invece addirittura un baluardo di libertà e di coraggio Accade, quando si è curiosi, di imbattersi in volumi che ti lasciano il segno. Sfogli quelle pagine e senti lo stomaco rivoltarsi, man mano che procedi nella lettura. Ogni pagina è un colpo sferrato in pieno petto, roba che fa male e che però fa anche riflettere. Fa riflettere sulla giustizia dell'uomo, che - lo sappiamo dai tempi di Antigone - è cosa diversa da quella suprema di Dio. Succede di indignarsi, di chiedersi perché l'uomo possa essere capace di certe bassezze, e di domandarsi se ci sarà mai una giustizia. Che poi non si pretende ormai più la giustizia dei tribunali, perché i reati cadono in prescrizione e anche perché ormai oggi molte di quelle persone che dovrebbero finire dietro le sbarre sono già morte per co