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BENEDETTI ASSASSINI. Eccidi partigiani nel Bellunese (1944-1945)



BENEDETTI ASSASSINI. Eccidi partigiani nel Bellunese (1944-1945)

Eccidi partigiani nel Bellunese 1944-45. Storia della guerra civile italiana in terra veneta di Antonio Serena. Un attenta indagine storica con ampiezza di fonti per raccontare la verità dei vinti sepolta sotto il trionfale racconto dei vincitori
Chi ritenga che un lungo elenco di nomi e di date possa essere solo un’arida documentazione, legga i libri di Antonio Serena e si ricrederà. In questi elenchi di nomi e di date è racchiuso l’immenso dramma della guerra civile italiana. Da questi nomi e da queste date scaturisce - vivissima a distanza di settant’anni - la tragedia di migliaia di vittime innocenti alle quali ancora non è stata resa piena giustizia.
Bisogna leggere “I giorni di Caino” e “La strage di Oderzo”, fino a quest’ultima opera, per rendersi conto di come la ricerca minuziosa, quasi ossessiva dello storico, la maniacale consultazione di documenti, di diari inediti, la ricerca degli ultimi testimoni sfoci in una grandiosa e tragica rappresentazione delle regioni italiane del nord-est negli “anni horribiles” 1944-’45, schiacciate fra la dura occupazione tedesca e l’imperversare delle bande partigiane, in cui si distinguevano per ferocia le formazioni comuniste, intente a una loro guerra privata che nulla aveva a che fare con la liberazione dagli occupanti tedeschi bensì mirava a instaurare un ordine sovietico. A costo di qualsiasi crimine.
Ecco che allora quei nomi diventano volti: civili, militari, giovani e anziani, spesso estranei anche alle formazioni della RSI, torturati e uccisi. E donne: innumerevoli vittime di un “femminicidio” (ma la bizzarra definizione non era ancora stata inventata) che nessuna delle dame della repubblica, assise sui più alti scranni del parlamento, ha mai pensato di denunciare. O soltanto di ricordare. Donne quasi sempre genericamente accusate di essere “spie” dei fascisti o dei tedeschi, magari perché avevano avuto solo la sfortuna di fare da interpreti presso un comando germanico. Le più giovani violentate e seviziate, tutte uccise con crudeltà, spesso sotto gli occhi dei figli bambini o dopo le ignobili farse dei “processi partigiani”.
Ed ecco che anche le date diventano ben più che semplici numeri: scandiscono giorno dopo giorno, mese dopo mese, il tempo della paura, del tradimento, delle scariche di mitra alle spalle. Le notti segnate dall’incubo dei colpi violenti alla porta: “Aprite o la buttiamo giù!”
Questa più recente opera di Antonio Serena è incentrata sul Bellunese, una delle zone più martoriate dell’Italia orientale. Lo stesso Giorgio Pisanò nella sua “Storia della guerra civile in Italia” calcolò che furono circa 600 le vittime delle violenze partigiane nelle montagne fra Treviso e Belluno. Eccidi nell’Agordino, in Cadore, in Cansiglio.
Al Pian del Cansiglio era la base della famigerata “Divisione Nannetti” cui appartenevano anche partigiani di altre parti d’Italia fra cui un “battaglione” di 45 russi. È proprio nel massiccio trasferimento di militanti comunisti inviati da Bologna in Cansiglio per addestrare le formazioni partigiane che l’autore individua la causa della recrudescenza della guerra civile nel Bellunese, nonché i numerosi problemi di coordinamento con altre formazioni partigiane, dal momento che i comunisti, nel perseguire la loro guerra particolare, spesso operavano come schegge impazzite, venendosi a trovare in contrasto, anche cruento, con gli altri.
Gli “insensati” (come li definisce Serena) attacchi dei partigiani alle truppe tedesche non avevano alcun effetto utile allo sviluppo della situazione bellica ma esasperavano l’esercito occupante, esponendo alle rappresaglie le popolazioni inermi, regolarmente abbandonate dai resistenti. La tragedia di Sant’Anna di Stazzema si è ripetuta più volte anche nel Bellunese.
Alla fine dell’estate del 1944 i comandi tedeschi decisero di eliminare le roccaforti partigiane nell’arco alpino e di attaccare le bande che si erano radunate intorno al massiccio del Grappa, responsabili di gravi fatti di sangue. È l’”Operazione Piave”: il 21 settembre circa 7000 uomini fra Wehrmacht, SS e il 2° Battaglione “Bozen” più scarsi elementi delle Brigate Nere, della Divisione “Tagliamento” e della Decima MAS, attaccarono da più parti il Grappa. Per le formazioni partigiane, divise fra di loro e incerte nella strategia, fu la disfatta.
Ai 300 uccisi nello scontro seguì la fucilazione di altri 171, molti dei quali impiccati lungo i viali di Bassano. Una reazione tremenda che provocò lo sdegno della stesso Mussolini che intervenne presso i comandi tedeschi per far cessare la strage.
Con l’ imparzialità dello storico che ha a cuore solo la verità, Serena non nasconde l’entità della tragedia del Grappa e a differenza della roboante storiografia resistenziale, cerca di ricostruire la vicenda calandosi nell’ottica dei partigiani, non nasconde l’orrore per la spietata vendetta dei tedeschi e la pietà per gli uccisi.
Ma c’è ancora un aspetto da sottolineare nell’opera di Antonio Serena: “Benedetti assassini” come le opere precedenti viene a completare - con il rigore dell’indagine storica e l’ampiezza delle fonti - la vastissima storiografia che fin dai primi tempi del dopoguerra si adoperò per raccontare la verità dei vinti, sepolta sotto il trionfale racconto dei vincitori. Migliaia di scritti, diari, lettere, ricostruzioni tutte regolarmente ignorate dalla cultura dominante. E ci è voluto un Giampaolo Pansa (da sinistra) perché tutto questo materiale storiografico venisse finalmente sdoganato e - anche solo come citazione - approdasse ai fasti della grande editoria.
Ma l’indagine di Antonio Serena va ben al di là del pur meritevole lavoro di collazione e raccolta di scritti ignorati. Scendendo in profondità senza perdere di vista il teatro dove si svolgono gli avvenimenti, regala al lettore un quadro vasto e preciso e mette un punto fermo alla storia della guerra civile italiana nelle terre venete.
Domizia Carafòli
Milano, novembre 2014

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